Il periodo di comporto comprende anche i giorni festivi
Si contano, ai fini del comporto, anche i giorni non lavorativi compresi nel periodo di assenza. Il dipendente è guarito solo quando riprende servizio.
Fonte:legge per tutti
Il periodo di comporto è quel periodo di tempo durante il quale il dipendente malato non può essere licenziato. Durante la malattia, infatti, il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo di tempo stabilito dalla legge, dal contratto collettivo di categoria (come normalmente accade in quanto generalmente più favorevole al lavoratore) o dagli usi.
Nella determinazione del periodo di comporto non si calcolano i periodi di assenza a causa di gravidanza o puerperio. Si considerano invece a tal fine (salvo diversa previsione del contratto) anche i giorni non lavorativi (sabato, domenica, festività infrasettimanali, sciopero) che cadono nel periodo di malattia certificato, dovendosi presumere la continuità dell’episodio morboso e l’indisponibilità del lavoratore, salvo che egli provi che invece era guarito.
Ci si è chiesti in proposito, nel caso in cui la malattia sia certificata fino ad un giorno prefestivo, se debba considerarsi, nel calcolo del periodo di comporto, anche il giorno festivo successivo non coperto dalla certificazione, in cui il lavoratore – anche sano – non avrebbe comunque lavorato.
Si pensi ad esempio ad un certificato che consideri come ultimo giorno di malattia un sabato; la domenica l’azienda resta chiusa, dunque il dipendente comunque non presterebbe servizio. Ci si è domandati se quella domenica rientri o meno nel calcolo del comporto.
La Corte di Cassazione è intervenuta in materia con una recente sentenza, nella quale ha ribadito la necessità di tener conto dei giorni non lavorativi cadenti nel periodo di assenza per malattia, dovendosi, come detto, presumere la continuità dell’episodio morboso e l’indisponibilità del lavoratore. Ha però ulteriormente precisato che detta presunzione di continuità opera sia per le festività ed i giorni non lavorativi che cadono nel periodo della certificazione, sia nella diversa ipotesi di certificati in sequenza di cui il primo attesti la malattia fino all’ultimo giorno lavorativo che precede il riposo domenicale ed il secondo la certifichi a partire dal primo giorno lavorativo successivo alla domenica [Cass., sent. n. 24027 del 24/11/2016.].
In pratica, dice la Suprema Corte, solo il rientro in servizio del lavoratore dimostra la guarigione, dovendosi presumere che fino a quel momento, sebbene non certificata, la malattia da cui era affetto non sia cessata. Ciò fino a prova contraria, che può essere fornita anche mediante testimoni.
La sentenza riguarda un lavoratore privato, ma ugualmente avviene per i lavoratori pubblici.
Tale pronuncia, anzichè fornire chiarimenti, potrebbe portare a conseguenze disastrose per il lavoratore: si pensi al dipendente con contratto a tempo parziale verticale, che lavora, ad esempio, solo i primi due giorni della settimana (lunedì e martedì).
Seguendo l’orientamento della sentenza in parola, la sua malattia certificata fino al martedì, si dovrebbe presumere che continui fino al lunedì successivo quando il lavoratore riprenderà – secondo i propri turni – servizio, perdendo così, ai fini del calcolo del comporto 5 ulteriori giorni, a meno che non provi (se licenziato per superamento del periodo di comporto) che in realtà tra il mercoledì e il lunedì successivo era invero guarito.