Fonte: legge per tutti
Il dipendente in malattia non può essere licenziato a meno che l’assenza duri oltre il periodo massimo fissato dal contratto collettivo (comporto), ma ciò non vale se la malattia è stata determinata da infortunio sul lavoro.
La legge vieta il licenziamento del dipendente malato. Solo in due casi si può licenziare per malattia: quando l’assenza supera la durata massima prevista dal contratto collettivo o se, benché l’assenza sia inferiore a tale limite, essa comporti un grave pregiudizio per l’organizzazione dell’azienda. La prima causa, detta «superamento del comporto», trova nella legge una previsione espressa; la seconda, invece, è frutto della recente interpretazione dei giudici. Ma procediamo con ordine.
Quando si può licenziare il dipendente in malattia?
L’azienda deve conservare il posto di lavoro del dipendente in malattia, nei limiti di un periodo (cosiddetto «comporto») stabilito dalla legge, dai contratti collettivi o, in mancanza, dagli usi. Tanto è previsto dal codice civile [1]. In buona sostanza, questo significa che non si può licenziare il lavoratore malato proprio a causa della sua malattia e dell’assenza protratta. Si può però licenziare il dipendente malato, anche durante il periodo in cui sta a casa, per altre ragioni non legate alla malattia come, ad esempio, una crisi aziendale o la ristrutturazione interna (cosiddetto licenziamento per giustificato motivo oggettivo) o una grave colpa da questi commessa (cosiddetto licenziamento disciplinare). Si pensi, a tal proposito, al caso del dipendente in malattia che non si fa puntualmente trovare a casa al momento delle visite fiscali del medico Inps.
L’assenza per malattia ha una durata massima
Come detto prima, l’assenza per malattia può protrarsi per un periodo massimo che di norma è stabilito dai contratti collettivi. Superato tale termine (chiamato comporto) è possibile il licenziamento.
L’unico caso in cui al dipendente viene consentito di superare il periodo di comporto è quando la malattia si è verificata a causa del datore di lavoro per non aver questi garantito un ambiente salubre e privo di rischi (infortunio sul lavoro, mancata predisposizione delle misure di sicurezza, ma anche uno scivolone dalle scale, un infarto a causa di una condotta mobbizzante, ecc.).
I casi in cui si può licenziare il dipendente malato
Sintetizzando quanto detto sin ora, si può licenziare il dipendente in malattia solo nei seguenti casi:
superamento del periodo massimo di assenza (periodo di comporto); licenziamento per giustificato motivo oggettivo (crisi o ristrutturazione aziendale); licenziamento disciplinare (giusta causa o giustificato motivo soggettivo, a seconda che il comportamento sia gravissimo e non consenta il preavviso, oppure sia meno grave e viene concesso il preavviso).
Che significa comporto?
Il comporto è un arco temporale superato il quale l’azienda può licenziare il dipendente. Durante questo arco temporale il datore di lavoro può licenziare il dipendente solo quando ricorrono una giusta causa o un giustificato motivo oggettivo dovuto a sopravvenuta impossibilità della prestazione o a cessazione totale dell’attività d’impresa.
L’arco temporale di riferimento per calcolare il periodo di comporto può essere l’anno di calendario o l’anno solare, in base a quanto previsto dai contratti collettivi:
per «anno di calendario» si deve intendere il periodo di tempo compreso tra il 1o gennaio e il 31 dicembre di ogni anno; per «anno solare» si deve intendere un periodo di 365 giorni decorrenti dal primo episodio morboso, dall’inizio della malattia (se continuativa) o a ritroso dalla data di licenziamento.
La durata del comporto per gli impiegati è fissata dalla legge ed è di:
3 mesi, quando l’anzianità di servizio non supera i dieci anni; 6 mesi, quando l’anzianità di servizio supera i dieci anni.
Per gli operai, invece, la durata del periodo di comporto è stabilita dalla contrattazione collettiva.
Il periodo di comporto può essere interrotto per effetto della richiesta del lavoratore di godere delle ferie maturate. La richiesta deve essere scritta, indicare il momento dal quale si intende convertire
l’assenza per malattia in assenza per ferie ed essere tempestivamente presentata al datore di lavoro prima che il periodo di comporto sia definitivamente scaduto e il datore di lavoro abbia diritto di recedere dal rapporto.
Scaduto il comporto, il datore può licenziare il dipendente senza provare l’esistenza di una giusta causa o un giustificato motivo.
Come detto sopra, è vietato licenziare il dipendente per superamento del comporto se la sua malattia è stata provocata o aggravata dalla nocività insita nelle modalità di esercizio delle mansioni o comunque esistente nell’ambiente di lavoro,
Si può licenziare il dipendente in malattia prima del comporto?
Recente giurisprudenza sta sostenendo la possibilità per l’azienda di licenziare il dipendente assente per malattia ancor prima del superamento del comporto quando detta assenza provoca un grave danno all’organizzazione del lavoro. È quello che si definisce «licenziamento per scarso rendimento». Esistono già diversi precedenti in tal senso: ne abbiamo parlato in Malattia e continue assenze: sì al licenziamento per inefficienza e in Se sono assente per malattia l’azienda può licenziarmi. In pratica – e rinviando ai predetti approfondimenti per maggiori dettagli – secondo la più recente giurisprudenza, tutte le volte in cui la presenza sporadica del lavoratore finisce per danneggiare i meccanismi produttivi e le catene di montaggio, costringendo l’azienda a bloccarsi o, per evitare ciò, ad assumere un sostituto, è possibile il licenziamento di chi non ha ancora esaurito tutti i giorni del comporto. Ma attenzione, il licenziamento del malato cronico – di chi, cioè, presta servizio a singhiozzo, fra lunghe assenze e brevi ritorni – è lecito solo quando questi rende un’attività esigua per quantità e qualità e dunque non utilizzabile dall’azienda. In tal caso il licenziamento è legittimo. Infatti, quando le reiterate assenze per malattia determinano uno scarso rendimento viene violato l’obbligo della diligente collaborazione a cui il lavoratore si obbliga.
note
[1] Art. 2110, co. 2, cod. civ.