Il dipendente in malattia può uscire?
FONTE: legge per tutti  - Massimiliano Palumbo

Ecco le sanzioni previste se si esce in caso di malattia. Previsto il licenziamento, ma solo in alcune situazioni.
 Il dipendente in malattia può uscire di casa? È un dubbio che hanno in molti. Perché è vero, si è rimasti a casa perché le condizioni di salute non permettevano di lavorare, ma se poi ci si sente meglio? Oppure, se diventa urgente uscire per andare dal medico o in farmacia? Davvero il dipendente malato è costretto a restare a casa tutto il giorno?
Cerchiamo di capire meglio, anche perché assumere l’atteggiamento sbagliato può costare caro, fin anche il licenziamento.
 In quali casi il dipendente malato non può uscire?
In caso di malattia non bisogna uscire durante gli orari di reperibilità. Bisogna, quindi, restare a casa e non lasciare l’indirizzo comunicato all’azienda salvo giustificato motivo. Ciò al fine di consentire al medico fiscale dell’Inps di fare la visita.
 
Qualche rigo più su abbiamo usato l’espressione «orari di reperibilità». Questo vuol dire che non bisogna stare a casa tutto il tempo, ma solo durante precise fasce orarie. Eccole:
 lavoratori del settore privato: dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 17 alle 19, sette giorni su sette, festività comprese (ad esempio Natale e Pasqua);  dipendenti pubblici: dalle ore 9 alle 13 e dalle 15 alle 18. Tutti i giorni, feste comprese.
 
Come fare qualora si fosse costretti ad uscire proprio durante queste fasce orarie? Bisogna avvertire per tempo sia l’azienda che l’Inps. Ma si può anche non avere la possibilità di fare questa comunicazione. Pensiamo, ad esempio, a chi è costretto ad accompagnare in ospedale una persona cara perché in fin di vita. In casi come questo, però, bisogna poi dimostrare che sia andata effettivamente così. Per saperne di più si rimanda a Reperibilità, se il medico fiscale non ti trova a casa.
  Visita fiscale: cosa succede se il dipendente malato esce durante le fasce orarie?
Se il lavoratore dovesse uscire – senza avvertire e senza un giustificato motivo –  proprio durante gli orari stabiliti, scatterebbero alcune conseguenze proporzionate alla gravità della violazione. Vediamole insieme.
 assenza alla prima visita: perdita totale di ogni trattamento economico per i primi 10 giorni di malattia;  assenza alla seconda visita: perdita totale di ogni trattamento economico per i primi 10 giorni di malattia e riduzione del 50% del trattamento economico per il residuo periodo;  assenza alla terza visita: l’erogazione dell’indennità economica previdenziale a carico Inps viene interrotta da quel momento e fino al termine del periodo di malattia. Questa situazione si configura come mancato riconoscimento della malattia ai fini della corresponsione della relativa indennità.
Come abbiamo visto in queste tre ipotesi non rientra il licenziamento. Certo, è previsto, ma solo nei casi più gravi [1]. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, «l’assenza del lavoratore dalla propria abitazione durante la malattia, benché possa dar luogo a sanzioni comminate per violazione dell’obbligo di reperibilità durante le cosiddette fasce orarie, tuttavia non integra di per sé un inadempimento sanzionabile con il licenziamento se il giudice ritenga che la cautela della permanenza in casa – benché prescritta dal medico – non sia necessaria al fine della guarigione e della conseguente ripresa della prestazione lavorativa».
  Dipendente in malattia: cosa succede se esce dopo la reperibilità?
Ovviamente, dopo le fasce orarie previste dalla legge, il dipendente può uscire. Attenzione però, questa possibilità non comporta che il lavoratore possa fare quello che vuole. L’uscita, infatti, non deve compromettere la pronta guarigione. È normale che tra lavoratore e azienda debba esistere un rapporto di fiducia e che il datore di lavoro confidi che il rientro del suo dipendente avvenga in tempi ragionevoli. E proprio in virtù di questo rapporto di fiducia che potrebbe scattare il licenziamento in tronco se il lavoratore dovesse essere sorpreso a compiere azioni in grado di pregiudicare la sua guarigione. Si pensi, ad esempio, a chi, con una forte bronchite, esce a fare una passeggiata affrontando un clima rigido.
Una ragione in più per non esagerare con le uscite durante la malattia sta nel fatto che il datore può far pedinare il dipendente. È un’azione lecita che non vìola la privacy del lavoratore. Quindi, se l’azienda comincia a nutrire qualche sospetto sulle reali condizioni di salute del proprio dipendente, può ingaggiare investigatori privati e raccogliere testimonianze.
 Situazione diversa, invece, è richiedere la visita fiscale due volte nella stessa giornata o anche più volte durante il decorso della malattia. Casi del genere potrebbero configurarsi come accanimento nei confronti del lavoratore, per cui bisogna agire solo se la situazione lo richiede. Ad esempio, se una malattia è a decorso lento, l’accertamento del medico può essere richiesto in momenti diversi.
 A proposito di licenziamento. È lecito licenziare il dipendente trovato per strada nonostante il medico fiscale gli abbia consigliato di stare a letto? Secondo la Cassazione, no [1]. Il comportamento non è così grave da meritare una soluzione tanto estrema. Anche se vale il principio espresso poco più su: il giudice chiamato a valutare il caso, si deve convincere che l’uscita di casa del lavoratore non abbia ritardato la sua guarigione.