I permessi della legge 104 non sono giorni di ferie
Fonte:legge per tutti
Durante il permesso della 104, quanto tempo posso sottrarre alla cura del disabile
per concedermi uno svago personale? La Cassazione fa il punto.
La Cassazione afferma esplicitamente che i giorni di permesso concessi con la legge 104 non possono essere usati come veri e propri giorni di ferie, facendo viaggi o svagandosi senza provvedere all’assistenza del disabile. In questo modo, secondo i giudici, si commette una truffa e, quindi, un reato. Ciò in quanto si strumentalizza la malattia del familiare per vantaggi personali, arrecando danno sia al lavoratore che alla collettività. Vediamo nel dettaglio cosa hanno stabilito i giudici.
Cosa sono i permessi della legge 104
La nota legge 104, in vigore dal febbraio 1992, prevede una serie di disposizioni che stabiliscono diritti e agevolazioni per le persone disabili e per coloro che vi prestano assistenza. In particolare, l’art. 33 della legge afferma che i lavoratori pubblici e privati che assistono un soggetto affetto da grave handicap, possono usufruire di un permesso retribuito di tre giorni per ogni mese [Art. 33, comma 3, L. n. 104/1992.]. Con questa agevolazione il familiare del disabile, almeno per pochi giorni al mese, può organizzare meglio la propria giornata: durante il permesso, il lavoratore beneficia di un ritmo meno pressante che gli consenta principalmente di assistere l’infermo, ma anche di concedere qualche ora a se stesso senza subire una riduzione dello stipendio.
La Cassazione: niente viaggi durante i permessi
La Suprema corte, con una sentenza appena pubblicata [Cass. sent. n. 54712/2016 del 23.12.2016], ha affermato espressamente che i giorni di permesso non possono essere utilizzati come giornate di ferie. Certo, non c’è nemmeno l’obbligo di assistere il disabile h24, ma se il lavoratore usa il permesso per viaggiare o divertirsi, commette una truffa e ne risponde penalmente. Il caso concreto all’esame dei giudici era quello di una lavoratrice che, durante quei tre giorni, non aveva badato al parente disabile ma era andata all’estero con la propria famiglia. In questo modo, secondo la Cassazione, è stata strumentalizzata l’infermità del familiare per godere di un viaggio di piacere: in pratica, la lavoratrice ha utilizzato i giorni del permesso come vere e proprie ferie retribuite, e ciò non può essere consentito.
I giudici ribadiscono quelli che sono gli scopi della legge 104:
- da un lato, permettere al lavoratore di assistere l’infermo in modo più continuo, senza l’assillo di dover trascorrere gran parte della giornata a lavoro;
- dall’altro, consentire al lavoratore stesso di riservare alcune ore a se stesso e di avere un minimo di vita sociale.
Tuttavia, chi beneficia del permesso non se ne può approfittare. É consentito ad esempio uscire per qualche ora, dedicare tempo esclusivamente alla propria persona, ma non si può dimenticare il motivo per cui il permesso stesso è stato concesso: l’assistenza al disabile. Non commette certo una truffa chi esce per una pizza, ma la commette chi viaggia per motivi di piacere: i giorni di permesso non sono giorni di ferie.
La truffa, ricordiamo, è il reato di chi «con artifizi e raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno» [Art. 640 cod. pen.]. In questo caso la lavoratrice ha chiesto il permesso della 104 per assistere meglio il familiare malato, ma poi ha utilizzato i giorni concessi per un viaggio di piacere. Di conseguenza, secondi i giudici, ha commesso una truffa.
La donna si è difesa affermando che, dal 2010, la legge 104 è cambiata. Prima infatti, i giorni di permesso erano concessi per chi assisteva «con continuità e in via esclusiva le persone handicappate». Nel 2010 questo inciso è stato cancellato e non compare più nel testo della legge [Art. 24, L. n. 183/2010.]. Secondo la difesa, ciò ha un significato preciso: mentre prima il lavoratore doveva assistere l’infermo per 24 ore al giorno, ora gli è concesso anche riservarsi del tempo per se stesso. I giudici, però, non sono di questo avviso.
Secondo la Cassazione, la cancellazione dell’inciso non ha stravolto il significato della norma, ma è servita solo ad evitare interpretazioni errate della stessa. Infatti, la disposizione avrebbe potuto essere interpretata nel senso che anche chi si distraeva per poche ore commettesse una truffa (stante l’obbligo di assistenza continua ed esclusiva). La modifica legislativa, quindi, non ha fatto altro che chiarire meglio l’intento della legge: durante i permessi ci si può anche svagare, avere vita sociale, ma di certo non si può perdere di vista l’obiettivo principale, ossia la cura del malato. In poche parole, non si può viaggiare come avviene durante le ferie.
Niente riduzione di pena per chi viaggia durante i permessi
La legge prevede che se il comportamento di chi commette il reato non è stato particolarmente grave (perché ha cagionato un danno esiguo), il giudice può ridurre la sanzione penale. Tuttavia, nel caso esaminato dalla Cassazione, la condotta della lavoratrice è stata giudicata grave e, quindi, non meritevole di una riduzione di pena. Questo perché:
- i permessi della legge 104 sono strumenti che incidono su tutta la collettività: essi sono concessi per motivi di solidarietà sociale e, quindi, non possono essere utilizzati per motivi esclusivamente personali;
- la malattia del parente è stata strumentalizzata, perché alla lavoratrice non restavano più giornate di ferie di cui usufruire.
In questo modo, quindi, il lavoratore viene meno ai suoi doveri di lealtà non solo verso il proprio datore, ma anche verso la società stessa. Di conseguenza, i giudici non hanno concesso la riduzione di pena richiesta, perché il fatto non è stato giudicato «di particolare tenuità».