Stress lavorativo: spetta la causa di servizio
Fonte: legge per tutti
Riconosciuta la causa di servizio per la malattia cardiaca del dipendente a causa dell’abnorme carico di responsabilità.
Sarà anche vero che il lavoro nobilita l’uomo, ma non oltre una certa soglia. Un eccessivo stress lavorativo può infatti comportare gravi danni per la salute, come ad esempio una malattia coronarica. In tali casi che può fare il dipendente che si sia ammalato per colpa del carico di mansioni? A chiarirlo è una sentenza di ieri della Cassazione [1] la quale ricorda che, in caso di stress lavorativo, spetta la causa di servizio. Il lavoratore viene quindi tutelato dall’assicurazione obbligatoria sul lavoro, dall’Inail e dall’azienda presso cui presta servizio.
Nel caso di specie, un dipendente pubblico di appena 36 anni, incaricato di rappresentare in giudizio l’ente di appartenenza, era stato sottoposto ad eccessivo stress lavorativo. Non sono risultati influenti i fattori di età e la familiarità alle malattie cardiovascolari. Ha giocato un ruolo decisivo anche l’assenza di concause per via del fatto che il soggetto non era dedito all’uso di sostanze alcoliche e non era fumatore.
Lo stress lavorativo, a detta della giurisprudenza, non può dipendere solo da eccessivo carico di lavoro ma anche da una inadeguatezza della programmazione delle attività aziendali, da pressioni psicologiche, rimproveri, finanche contrasti quando si tratta di un ambiente di lavoro conflittuale.
Non è la prima volta che la Cassazione riconosce il risarcimento del danno da stress psicofisico (anche detto «usura psicofisica». Si tratta di un danno «non patrimoniale» causato dall’inadempimento contrattuale del datore di lavoro che ha violato il contratto stipulato con il dipendente e i ccnl. Il codice civile [2] impone infatti all’imprenditore di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti.
Non qualsiasi stress può essere risarcito ma solo quello che abbia comportato un danno dimostrabile davanti al giudice. Spetta dunque al lavoratore dimostrare tale danno anche attraverso semplici indizi (cosiddette «presunzioni») [3].
Il lavoratore che assume di aver subito un infortunio o una malattia riconducibili all’attività lavorativa svolta deve provare l’esistenza del danno, nonché la violazione da parte del datore di lavoro delle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o delle norme inderogabili o delle regole generali di correttezza e buona fede o, ancora, delle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità psicofisica dei prestatori [4]. In un altro caso, i giudici hanno respinto la richiesta di un bancario che aveva richiesto il risarcimento dei danni per un aggravamento di una patologia cardiaca a causa del grande stress lavorativo, degli orari prolungati, del luogo malavitoso e soggetto a rapine nel quale prestava la propria attività; il lavoratore non aveva provato la negligenza della banca nell’approntare le misure di sicurezza idonee ad evitare o scongiurare le rapine, né aveva allegato circostanze tali da evidenziare ritmi di lavoro insostenibili.
Il dipendente che già soffre di problemi cardiaci deve comunicarlo al datore di lavoro, altrimenti non potrà imputare a quest’ultimo l’aggravamento della patologia per lo stress lavorativo [5].
Secondo il Tribunale di L’Aquila, la patologia di ipertensione arteriosa è dipendente da causa di servizio quando si accerti che dipende dallo stress lavorativo legato alla inadeguatezza della programmazione dell’attività lavorativa ordinaria, da eccessive forme di controllo, da pressioni psicologiche e rimproveri spesso sfociati in discussioni e contrasti, tali da rendere l’ambiente lavorativo caratterizzato da una conflittualità persistente, e in tal modo concorrendo a modificare i processi fisiologici che stanno alla base delle alterazioni pressorie della ricorrente [6].
Una volta che il lavoratore abbia provato tali circostanze, grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno ma non è, comunque, sufficiente il semplice concorso di colpa del lavoratore per interrompere il nesso causale, potendo tale nesso essere interrotto solo da una condotta dolosa del lavoratore o la presenza di un rischio elettivo generato da una attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso [7].
note
[1] Cass. sent. n. 24361/2017 del 16.10.2017.
[2] Art. 2087 cod. civ.
[3] Cass. sent. n. 5590/2016 del 22.03.2016 « Il danno da stress, o usura psicofisica, si inscrive nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da inadempimento contrattuale e la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto sofferto dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso presunzioni semplici. Ne consegue che, ai fini del risarcimento del danno derivante dal mancato riconoscimento delle soste obbligatorie, nella guida per una durata di almeno 15 minuti tra una corsa e quella successiva e, complessivamente, di almeno un’ora per turno giornaliero – previste del Regolamento n. 3820/85/CEE, nonché dall’ art. 14 del Regolamento O.I.L. n. 67 del 1939 e dall’art. 6, primo comma, lett. a) della legge 14 febbraio del 1958, n. 138 -, il lavoratore è tenuto ad allegare e provare il tipo di danno specificamente sofferto ed il nesso eziologico con l’inadempimento del datore di lavoro».
[4] Cass. sent. n. 13863/2014.
[5] Cass. sent. n. 2886/2014: « Le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, produttiva di danni nella sfera giuridica di chi agisce in giudizio, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l’attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall’assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo».