La responsabilità patrimoniale del pubblico dipendente
fonte:legge per tutti


Responsabilità amministrativa, contabile e civile del pubblico dipendente.
Gli impiegati pubblici rispondono del loro operato non soltanto sul piano penale e disciplinare, ma anche su quello civile o patrimoniale, essendo tenuti a risarcire i danni da essi causati all’amministrazione o ai terzi.
Tale forma di responsabilità, definita «responsabilità patrimoniale», secondo la terminologia adottata dalla Corte dei conti, assume tre diversi aspetti a seconda dei soggetti cui si riferisce, delle norme violate e del tipo di danno cagionato. Essi sono:
— la responsabilità amministrativa;
— la responsabilità contabile;
— la responsabilità civile verso i terzi.

A) La responsabilità amministrativa per danno erariale
La responsabilità amministrativa è quella che sorge a causa dei danni cagionati all’ente nell’ambito o in occasione del rapporto d’ufficio: in particolare, per rispondere in sede di responsabilità amministrativa o erariale è necessario che il «soggetto» interessato, con una condotta dolosa o gravemente colposa collegata o inerente al rapporto esistente con l’amministrazione, abbia causato un danno pubblico risarcibile che si ponga come conseguenza diretta e immediata di detta condotta.
Il pregiudizio prodotto all’ente di appartenenza viene qualificato come danno erariale e si configura quale lesione ingiustificata al patrimonio dello Stato, inerendo alle finanze pubbliche, posto in essere dagli operatori pubblici nell’esercizio delle proprie funzioni.
Dal punto di vista normativo, sancisce, infatti, l’art. 82 R.D. 2440/1923 (cd. Legge di contabilità dello Stato) che «l’impiegato che per azione od omissione, anche solo colposa, cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo».
Anche nell’art. 18 R.D. 3/1957 (cd. Statuto degli impiegati civili dello Stato) è espresso il medesimo concetto, laddove si stabilisce che «l’impiegato delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è tenuto a risarcire alle amministrazioni stesse i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio».
Si tratta di una responsabilità generica o non tipizzata (ZERMAN), nel senso che non è riconducibile a specifiche fattispecie individuate dal legislatore.
Mentre nell’ipotesi della responsabilità civile il dipendente pubblico arreca un danno ad un terzo ed è tenuto in solido con la P.A. di appartenenza a risarcirlo (art. 28 Cost.), in ipotesi di responsabilità amministrativa il danno è arrecato all’amministrazione di appartenenza, nell’ambito del rapporto d’ufficio ed è la stessa P.A. danneggiata (che deve essere risarcita del danno patrimoniale subìto).
Dal punto di vista soggettivo, l’individuazione di coloro che rispondono per responsabilità amministrativa è il frutto del processo evolutivo dell’organizzazione amministrativa italiana, e, come rilevato in dottrina (SCOCA), il novero di tali «soggetti» si è nel tempo accresciuto fino a ricomprendere, oggi, anche coloro che sono esterni all’amministrazione, ma inseriti in modo stabile nel proprio apparato organizzativo.
Ed infatti, se con la legge di contabilità di Stato del 1869 (L. 5026/1869) si è previsto che rispondessero per responsabilità amministrativa «(tutti) i dipendenti dello Stato» per i danni cagionati alle amministrazioni statali di appartenenza, successivamente sono stati assoggettati a tale responsabilità «i dipendenti e gli amministratori degli enti cd. parastatali, delle Regioni, delle aziende sanitarie e degli enti territoriali minori», cioè gli amministratori ed i dipendenti di qualsiasi ente pubblico. Ma il processo evolutivo non si è arrestato qui, e si è esteso fino ad includere coloro che, sebbene formalmente esterni all’amministrazione, sono legati alla P.A. da un particolare rapporto: in tal modo, rientrano nell’ambito soggettivo della responsabilità amministrativa pure le «persone giuridiche anche private (ad esempio, società concessionarie di servizi pubblici) nonché i loro amministratori e dipendenti».
La stessa dottrina ha, quindi, evidenziato le diverse condizioni che, dal punto di vista soggettivo, devono ricorrere per potersi applicare l’istituto in questione: «per i soggetti “interni” all’amministrazione, il presupposto per essere sottoposti alla responsabilità amministrativa consiste semplicemente nel loro status di amministratori o di dipendenti, mentre per i soggetti “esterni” occorre un legame con l’amministrazione, che viene denominato “rapporto di servizio”».

I presupposti della responsabilità amministrativa, nella sostanza, non si discostano da quelli della comune responsabilità civile, tranne che per la sussistenza del rapporto di servizio, che connota tale tipo di responsabilità.
In particolare:
a) l’ente danneggiato deve essere un’amministrazione pubblica;
b) tra l’ente ed il danneggiante deve sussistere il citato rapporto di servizio;
c) il danno deve essere economicamente valutabile: il risarcimento consiste, infatti, nel pagamento di una somma equivalente alla misura del danno.
Esso deve essere ingiusto, per cui non è sufficiente la mera «violazione del dovere d’ufficio (o l’adozione di un atto illegittimo)» (CORSO), ma anche essere effettivo ed attuale e, oltre a comprendere il danno emergente (cioè la diminuzione patrimoniale subita dalla P.A.), si estende al lucro cessante (vale a dire agli incrementi patrimoniali non conseguiti a causa del fatto dannoso). L’art. 1 L. 20/1994, inoltre, prevede che la Corte dei conti giudichi sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dei dipendenti pubblici anche quando il danno sia causato da soggetti appartenenti ad amministrazioni diverse;
d) il danno provocato, ancora, deve essere conseguenza diretta e immediata di una condotta dolosa o gravemente colposa posta in essere dal danneggiante.
Quanto al rapporto di conseguenzialità tra danno e condotta, la dottrina (CARINGELLA) ha chiarito che il danno può essere causato «in via diretta (sotto forma di minori incassi, maggiori spese o danneggiamento di beni) oppure indiretta», quando la P.A., prima, ripaga a terzi il pregiudizio subito a causa del comportamento dei propri dipendenti e, poi, agisca in sede di rivalsa verso i responsabili nei limiti (sempre) del dolo o della colpa grave.
Quanto, invece, all’elemento soggettivo, si ha dolo quando vi è una volontà cosciente del soggetto di provocare con la sua condotta un determinato evento; si è in presenza di una condotta gravemente colposa, invece, allorquando non c’è la precisa intenzione di arrecare un determinato danno, ma il soggetto agisce trascurando gli accorgimenti dettati dalla prudenza, dall’esperienza e dall’osservanza delle norme. Il concetto di gravità della colpa è relativo, dovendo, questa, essere correlata alla diversa natura delle funzioni, o mansioni, svolte dall’agente pubblico e alla specificità del contesto organizzativo in cui il responsabile è collocato.
Tra i casi di esclusione della colpa, oltre allo stato di incapacità di intendere e di volere, lo stato di necessità, il caso fortuito e la forza maggiore, rientra anche l’ipotesi in cui si sia agito in esecuzione di un ordine che si era obbligati ad eseguire.
L’obbedienza agli ordini dei superiori gerarchici costituisce un dovere specifico dell’impiegato pubblico. Tuttavia, perché l’esecuzione di un ordine illegittimo non sia fonte di responsabilità, occorre che sussistano le seguenti condizioni:
— la competenza dell’organo superiore ad emanare l’ordine e quella dell’organo inferiore ad eseguirla;
— la regolarità formale dell’ordine;
— l’atto ordinato non deve costituire un reato;
— l’ordine non deve essere palesemente illegittimo, ma, anche in questo caso, l’impiegato che lo ha eseguito non è responsabile se l’ordine è rinnovato per iscritto.
B) Segue: Una peculiare ipotesi di danno erariale: il danno all’immagine della P.A.
La responsabilità amministrativa, come visto, si configura quando il pubblico dipendente abbia posto in essere un danno cd. erariale, espressione nella quale rientra ogni tipo di pregiudizio patrimoniale subìto dalla P.A. in conseguenza del comportamento illecito del pubblico funzionario.
La dottrina ha chiarito che, sul piano effettuale, si tratta di un danno che «presuppone un pregiudizio economico inteso come perdita, distruzione, sottrazione di beni o valori della P.A., ovvero come mancato guadagno» (CARINGELLA).
Accanto al danno patrimoniale in senso stretto, è possibile ricondurre al danno erariale anche il cd. danno all’immagine della pubblica amministrazione.
L’ordinamento giuridico riconosce e garantisce il diritto all’immagine in senso ampio, sia alle persone fisiche che giuridiche. In particolare, l’immagine della P.A. è tutelata in base agli artt. 2 e 97 Cost., concernenti, rispettivamente, le formazioni sociali e l’organizzazione della medesima. Le amministrazioni pubbliche hanno, infatti, il diritto ad organizzarsi ed agire in modo efficace, efficiente, imparziale e trasparente e, laddove l’azione di un pubblico amministratore o dipendente leda o danneggi questo diritto, ciò si traduce in una alterazione (in senso negativo) della immagine della P.A., che rischia di apparire come organizzazione strutturata confusamente e mal gestita: si tratta, pertanto, di una «perdita di prestigio» della P.A. (Corte dei Conti, sez. giur. Sicilia, delibera n. 670/2015).
Il danno all’immagine, conseguentemente, incide sul rapporto di fiducia e di affidamento che lega amministrazione e amministrati. Tale tipo di danno, a sua volta, presuppone l’esplicazione di una condotta che abbia causato la reiterata violazione di doveri di servizio e un discredito per l’amministrazione.
La quantificazione del danno alla immagine da parte del giudice contabile deve tenere conto di almeno tre criteri:
— criteri oggettivi, in relazione alla oggettiva gravità dell’illecito;
— criteri soggettivi, ruotanti attorno alla particolare posizione rivestita dai presunti responsabili all’interno dell’organizzazione dell’ente;
— criteri di tipo sociale, concernenti la risonanza sociale e nell’opinione pubblica che ha avuto la condotta illecita.
Anche il legislatore è intervenuto a dettare una normativa specifica per disciplinare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine subito dalla P.A. stabilendo, con D.L. 78/2009, conv. in L. 102/2009 (art. 17, comma 30ter) e corretto con D.L. 103/2009, conv. in L. 141/2009, che le Procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (recante norme sul rapporto tra procedimento penale e disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti delle amministrazioni pubbliche), ossia in ipotesi di sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti per delitti contro la P.A. (cfr. anche, in giurisprudenza, Corte dei conti, sez. riunite, in sede giurisdizionale, sent. 8/2015, in cui si rimarca il fatto che la magistratura contabile può esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine solo per i reati previsti al Capo I del Titolo II, Libro II del codice penale, quindi, appunto, i soli delitti contro la P.A.).

Nei giudizi di responsabilità l’entità del danno all’immagine della P.A. si presume, salvo prova contraria, pari al doppio della somma di danaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente (art. 1, comma 1sexies, L. 20/1994, inserito dalla L. 190/2012, legge anticorruzione). In tali casi è concesso anche il sequestro conservativo, qualora vi sia il fondato timore di attenuazione della garanzia del credito (art. 1, comma 1septies, L. 20/1994, introdotto dalla L. 190/2012 cit.).
Il danno da disservizio
Nell’ambito del danno erariale, la giurisprudenza ha fatto rientrare anche il cd. danno da disservizio, che si verifica qualora un pubblico servizio non venga erogato in maniera efficiente ed efficace, non soddisfacendo, pertanto, le aspettative degli utenti e, al contempo, finendo per sprecare risorse importanti.
Nel danno da disservizio rientrerebbe anche quello cd. da ritardo, che si ha in caso di mancata e/o tardiva emanazione di un provvedimento amministrativo.
C) La responsabilità contabile
Conformemente al principio generale per cui chi gestisce denaro altrui è tenuto a rendere conto del proprio operato, il legislatore ha stabilito che tutti coloro che maneggiano denaro o valori della P.A. sono tenuti, in quanto agenti contabili, al cd. obbligo di rendiconto.
Il rendiconto viene definito, pertanto, come quel «documento in cui, secondo il contenuto dell’attività gestoria svolta dal contabile, vengono rappresentati, in sintesi, i risultati finali della stessa»; pertanto, sussiste la responsabilità contabile quando «il danno è causato dal contabile a beni o denari avuti in carico dalla Amministrazione e non rendicontati o rendicontati in modo tale che non è consentito di ricondurre l’atto gestorio ad una attività utile agli interessi economici dell’Amministrazione» (PRINCIPATO).
Essa, pertanto, è riconducibile alle obbligazioni di restituzione.
Da quanto detto emerge con evidenza che, al fine della esatta configurazione della responsabilità in questione, fondamentale importanza assume la nozione di agente contabile.
Premesso che in linea di massima può farsi rientrare in tale nozione chiunque, per contratto o per compiti di servizio, è addetto allo svolgimento ed alla cura delle operazioni contabili di un’amministrazione, il legislatore ha individuato con precisione coloro che rientrano in tale categoria di dipendenti pubblici.
Chi sono gli agenti contabili?
Una elencazione precisa è contenuta nell’art. 178 R.D. 827/1924, secondo il quale sotto la denominazione di agenti contabili dell’amministrazione si comprendono:
a) gli agenti che con qualsiasi titolo sono incaricati, a norma delle disposizioni organiche di ciascuna amministrazione, di riscuotere le varie entrate dello Stato e di versarne le somme nelle casse del tesoro;
b) i tesorieri che ricevono nelle loro casse le somme dovute allo Stato, o le altre delle quali questo diventa debitore, eseguiscono i pagamenti delle spese per conto dello Stato, e disimpegnano tutti quegli altri servizi speciali che sono loro affidati dal ministro delle finanze o dal direttore generale del tesoro;

c) tutti coloro che, individualmente ovvero collegialmente, come facenti parte di consigli di amministrazione per i servizi della guerra e della marina e simili, hanno maneggio qualsiasi di pubblico danaro, o sono consegnatari di generi, oggetti e materie appartenenti allo Stato;
d) gli impiegati di qualsiasi amministrazione dello Stato cui sia dato speciale incarico di fare esazioni di entrate di qualunque natura e provenienza;
e) tutti coloro che, anche senza legale autorizzazione, prendono ingerenza negli incarichi attribuiti agli agenti anzidetti e riscuotono somme di spettanza dello Stato.
Con riferimento a quest’ultima espressione è chiaro che nell’ambito della categoria dei contabili si deve distinguere fra colui che svolge tale funzione in base a norme, a rapporto di impiego o a contratto (contabile di diritto) e colui che, di propria iniziativa o per necessità, ha maneggio di denaro o beni (contabile di fatto). Entrambi sono assoggettati alla stessa disciplina, quanto ad obblighi, doveri e responsabilità.
Differenze tra responsabilità amministrativa e responsabilità contabile
Secondo lo schema delineato da BUSCEMA, si evidenziano i seguenti elementi di differenziazione del regime giuridico delle due forme di responsabilità:
a) la responsabilità contabile si fonda sul maneggio, di diritto o di fatto, del denaro o, in genere, dei valori della P.A., mentre la responsabilità amministrativa trova il suo fondamento in un danno patrimoniale (doloso o colposo) cagionato alla P.A.;
b) la responsabilità contabile deriva dall’inadempimento di un obbligo di restituire valori avuti in consegna, ispirandosi perciò alla responsabilità del depositario, il quale è liberato dall’obbligo di restituzione soltanto se dimostra che la perdita è avvenuta per causa a lui non imputabile (art. 1780 c.c.); la responsabilità amministrativa, invece, si basa sulla diligenza nell’adempimento dei doveri nascenti dal rapporto di servizio, ispirandosi pertanto ai criteri di valutazione della diligenza del debitore nell’adempimento di cui all’art. 1176 c.c.;
c) la responsabilità contabile attiene all’obbligo di restituire cose già appartenenti alla P.A.; la responsabilità amministrativa, invece, deriva da un comportamento (doloso o colposo), conseguente ad una omessa o mal adempiuta prestazione, da cui sia derivato un danno patrimoniale alla P.A.;
d) la responsabilità amministrativa presuppone in ogni caso un rapporto di servizio; la responsabilità contabile grava anche sui contabili di fatto, derivando dall’obiettiva esistenza di una gestione;
e) nella responsabilità contabile, si ritiene escluso il cd. potere riduttivo, che consente al giudice contabile di quantificare il risarcimento a carico dell’accertato responsabile in una somma anche inferiore all’importo dell’intero danno proporzionando — in tal modo — l’entità del danno «alla misura della riprovevolezza del comportamento colposo» (sent. Corte dei conti n. 88 del 12-101972). Tale profilo è viceversa presente per la responsabilità amministrativa;
f) il giudizio di responsabilità contabile è instaurato all’atto della presentazione del conto giudiziale, a prescindere dall’eventuale denuncia di irregolarità; il giudizio di responsabilità amministrativa è invece promosso dal Procuratore regionale presso la Corte dei conti, d’ufficio o su denuncia dei funzionari che vengano a conoscenza dei fatti che possono essere fonte di responsabilità.
D) La responsabilità civile verso i terzi
Con l’entrata in vigore della Costituzione, si è individuata una responsabilità solidale dell’amministrazione e del funzionario nel caso di danno nei confronti del cittadino (art. 28 Cost.), per cui quest’ultimo attualmente può escutere, a sua scelta, sia l’amministrazione pubblica che l’impiegato agente.
Questa norma pone a carico dello Stato e dei pubblici impiegati le conseguenze relative ad atti che ingenerano, secondo le norme comuni, responsabilità da parte dell’agente. Ed è da notare che la responsabilità dello Stato è diretta, come lo è quella del suo dipendente. Entrambi sono sul medesimo piano nei confronti del civilmente danneggiato. La Corte costituzionale parla, infatti, di responsabilità concorrente.
Viene meno la responsabilità dell’amministrazione allorché il danno deriva da comportamento posto in essere da funzionari od impiegati al di fuori di ogni manifestazione di attività amministrativa (atti personali degli agenti, ovvero atti viziati da incompetenza assoluta, ovvero da comportamenti posti in essere dolosamente in violazione di norme penali).
Negli altri casi l’amministrazione risponde in quanto l’operato dei suoi agenti, nell’esercizio delle funzioni ad essi affidate, si presenta come proveniente dalla amministrazione stessa.
La L. 124/2015 di riforma della P.A. e le prospettive di riforma in tema di responsabilità dei pubblici dipendenti
Per quanto in tal sede di interesse, la L. 124/2015 prevede, da un lato, l’introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare e, dall’altro lato, il rafforzamento del principio di separazione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione e del conseguente regime di responsabilità dei dirigenti, attraverso l’esclusiva imputabilità agli stessi della responsabilità amministrativo-contabile per l’attività gestionale.
Proprio in relazione alle figure dirigenziali, inoltre, dovrà essere disposto il riordino delle discipline della responsabilità dirigenziale, amministrativo-contabile e disciplinare, ridefinendo i rapporti tra responsabilità dirigenziale e quella amministrativo- contabile, con particolare riguardo all’esclusiva imputabilità ai dirigenti della responsabilità per l’attività gestionale.