Assente alla visita fiscale: posso andare dal mio medico?
Fonte:legge per tutti
Licenziato chi non va a lavoro perché in malattia ma non si fa trovare alla visita fiscale, né prova la necessità di recarsi a visita dal proprio medico di base.
Lavoratore in malattia: solo in presenza di un’urgenza grave e indifferibile questi può, durante gli orari della reperibilità per la visita fiscale, uscire di casa e recarsi dal proprio medico di base. E, comunque, è sempre tenuto a fornire dimostrazione di tale necessità. In mancanza, il licenziamento è valido e sorretto da una giusta causa. Non solo: il lavoratore che non viene trovato in casa può essere denunciato all’azienda dall’investigatore privato assunto dal datore per controllare i suoi movimenti.
È quanto chiarito dalla Cassazione con una sentenza di poche ore fa [Cass. sent. n. 20433 dell’11.10.16.].
Si può mettere l’investigatore privato dietro il dipendente?
Si tratta di una vera e propria raffica di sentenze, quella emessa in questi giorni dalla Suprema corte, in tema di indagini private sui lavoratori in malattia. La Corte ha ormai sdoganato l’utilizzo delle agenzie investigative: i detective non sono considerati una violazione dello statuto dei lavoratori che vieta i controlli solo all’interno dell’azienda. Né si può parlare di una violazione della privacy dei dipendenti, a meno che questi non vengano spiati all’interno dei luoghi di privata dimora.
Nella sentenza in commento si legge quanto segue: «il divieto, per il datore di lavoro [Art. 5 L. 20 maggio 1970, n. 300 (cosiddetto Statuto dei lavoratori).], di eseguire accertamenti sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non impedisce all’azienda di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad ulteriori accertamenti di circostanze di fatto volte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza».
Sono pertanto leciti gli accertamenti demandati, dal datore di lavoro, a un’agenzia investigativa e aventi a oggetto comportamenti extralavorativi. Tanto per verificare il corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro e la violazione del dovere di fedeltà che lega il dipendente all’azienda: dovere che obbliga il primo, nei confronti del secondo, a non dire bugie come nel caso di malattia falsa.
Secondo l’orientamento ormai consolidato della Cassazione, il controllo occulto da parte degli investigatori privati per conto del datore di lavoro è legittimo anche in presenza del solo sospetto o della semplice ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione, oppure prestazioni del dipendente integranti violazioni di obblighi penalmente rilevanti.
Peraltro – precisa la Corte – il controllo vietato dallo Statuto dei lavoratori è solo quello sull’attività lavorativa e non già – come appunto quello che avviene fuori dal luogo di lavoro, quando il dipendente assume falsamente di essere malato – un comportamento illegittimo e rilevante ai fini disciplinari.
In pratica, se è vero che l’azienda non può controllare o far controllare dagli ispettori l’esecuzione della prestazione lavorativa, il controllo è invece giustificato non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto che il lavoratore stia ponendo in essere uno di tali illeciti.
Malattia simulata
È vero: la giurisprudenza ha sempre chiarito che il licenziamento, anche in presenza di una violazione del contratto di lavoro, va valutato in relazione alla gravità della condotta e, quindi, va giudicato caso per caso. Tuttavia l’assenza alla visita fiscale da parte del lavoratore assente dal lavoro per una malattia simulata è ritenuto un comportamento sufficientemente grave da giustificare l’espulsione in tronco.
La Suprema corte, d’accordo con quanto deciso in sede di merito, ha ritenuto legittimi gli accertamenti datoriali svolti tramite detective privato. Inutile quindi per il ricorrente appellarsi a violazioni delle disposizioni del garante della privacy, come è inutile sottolineare che in alcune occasioni la Suprema corte ha ritenuto legittimi solo quegli accertamenti delegati ad investigatori privati tesi a verificare atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione lavorativa. Inoltre il ricorrente neppure ha chiarito per quale ragione l’accertamento del datore sarebbe in contrasto col provvedimento del garante. Pertanto il ricorso è da rigettare.