Mobbing: quando si verifica
Fonte:legge per tutti
I presupposti per il mobbing: necessario che vi sia un disegno vessatorio e finalizzato a mortificare il dipendente.
Non sempre, di fronte alla negazione delle ferie o di un permesso, o all’intenzione di traferire il dipendente ad altra sede o mansione, si nasconde il mobbing. Certo, questo non toglie che il singolo comportamento del datore di lavoro possa essere ugualmente considerato illecito e, quindi, punito. Ma perché vi sia mobbing è necessario un presupposto essenziale, che spesso si dimentica: l’intento vessatorio che unifica tutti gli atti posti ai danni del dipendente. In altri termini c’è mobbing solo se c’è persecuzione. La conseguenza è anche quella per cui il mobbing non si può verificare solo in presenza di una singola azione, per quanto gravemente illecita, o di condotte sporadiche. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [Cass. sent. n. 16335/17 del 3.07.2017.]. Ma procediamo con ordine.
Il mobbing è sorretto da un unico intento persecutorio.
Cos’è il mobbing?
C’è mobbing solo configurabile laddove il datore di lavoro ponga in essere comportamenti persecutori sistematicamente diretti contro il lavoratore con intento persecutorio, comportamenti che abbiano determinato un evento lesivo per la salute o la personalità del lavoratore. Cosa significa concretamente? Come abbiamo spiegato nella nostra guida su Cos’è il mobbing? e su Come denunciare e difendersi dal mobbing, il mobbing è sostanzialmente una serie di maltrattamenti, posti dal datore di lavoro (sia esso pubblico o privato) o da un superiore gerarchico o anche un collega, ai danni del dipendente, finalizzato all’umiliazione sistematica e all’emarginazione del dipendente stesso. Ma spesso lo si confonde con qualsiasi tipo di vicenda conflittuale all’interno del posto di lavoro. Ecco perché la giurisprudenza ha individuato sette presupposti per denunciare il mobbing.
I sette presupposti del mobbing
- ambiente di lavoro: anche se gli effetti del mobbing si ripercuotono sulla vita quotidiana, il mobbing è solo quello che si verifica in azienda;
- durata: le vessazioni devono ripetersi nel tempo e in non meno di sei mesi. Solo nel caso del cosiddetto quick mobbing (ossia di attacchi particolarmente frequenti ed intensi) il termine viene ridotto a tre mesi;
- frequenza: tra le varie vessazioni vi deve essere uno spazio di tempo sufficiente a concatenare le condotte come sorrette dall’unico fine di mortificare il dipendente. Una cadenza diradata (ad esempio meno di una volta al mese) esclude il mobbing;
- tipologia di azioni: il mobbing deve concretizzarsi in condotte illecite reiterate e si presenta come una forma di terrore psicologico che viene esercitato sul posto di lavoro attraverso attacchi ripetuti da parte di colleghi (cosiddetto mobbing orizzontale) o dei datori di lavoro (mobbing verticale). Le azioni subite devono appartenere ad almeno due di cinque specifiche categorie: a) attacchi ai contatti umani e alla possibilità di comunicare; b) isolamento sistematico; c) cambiamenti nelle mansioni lavorative; d) attacchi alla reputazione; e) violenze e/o minacce di violenza;
- dislivello tra il dipendente mobbizzato e chi esercita il mobbing: l’inferiorità può essere solo psicologica e non si deve riferire necessariamente alla posizione gerarchica nell’organigramma dell’interno dell’azienda;
- andamento secondo fasi successive: il disagio psicologico deve essere crescente e incalzante;
- intento persecutorio: il mobbing viene inteso dalla giurisprudenza come la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico che si caratterizzi per sistematicità e durata nel tempo nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro consistente in reiterati comportamenti ostili che finiscano per assumere i profili della prevaricazione o della persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale o l’emarginazione del dipendente con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
Elementi necessari per la configurazione del mobbing sono dunque la molteplicità dei comportamenti persecutori – anche leciti se considerati singolarmente – posti in atto in modo mirato contro il dipendente con intento vessatorio, l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente ed il nesso eziologico, nonché la prova dell’intento persecutorio che deve essere l’effettivo e unico fine perseguito dall’autore delle molteplici condotte illecite.