Accuse sul posto di lavoro: come difendersi

Fonte: legge per tutti

Maldicenze, diffamazioni e false accuse ingiuriose: come difendersi dalle offese sul posto di lavoro o davanti al datore.

Una tua collega di lavoro sta facendo circolare cattive voci su di te: va dicendo a tutti che sei un incapace, una persona poco affidabile e raccomandata. Con alcuni si è anche sbilanciata nelle espressioni definendoti un pericoloso malato di mente. Offese, calunnie e ingiurie che ti vengono subito riferite da altri colleghi, ma sottovoce, perché non vogliono passare per “spie”. È però tua intenzione far valere i tuoi diritti, anche per difendere il tuo buon nome in azienda dopo anni di onorato servizio. Il tutto – possibilmente – senza mettere in mezzo le persone che ti hanno confessato il fatto. Vediamo dunque come difendersi dalle accuse sul posto di lavoro.

La vendetta è un piatto che si serve freddo. Ma non far passare più di tre mesi

La diffamazione è un reato. Questo lo sanno tutti e lo sa anche il tuo collega che, tuttavia, crede di farla franca per aver detto i fatti, sottovoce, a più persone ma in contesti diversi. È vero: la caratteristica della diffamazione è data dal fatto che le offese devono essere proferite in assenza della vittima e in presenza di più persone, per cui non c’è alcun reato se un tale parla male di un altro solo con un amico. Tuttavia, secondo i giudici, c’è diffamazione anche quando si sparla di qualcuno prima con una persona, poi con un’altra, poi con un’altra ancora, ecc. Insomma, se l’episodio, seppur avvenuto tra solo due soggetti, si ripete anche con altri tanto da dare al comportamento una veste di unitarietà, si può procedere alla querela.

Il secondo aspetto della diffamazione da tenere presente è che si tratta di un «reato a querela di parte»: significa che se, entro tre mesi, non vai a denunciare l’episodio ai carabinieri o non depositi una querela alla Procura della Repubblica, non puoi più far punire il colpevole.

Terzo aspetto importante per sapere come difendersi dalle accuse sul posto di lavoro è quello di non usare un termine per un altro. Quando un collega parla male di te al datore di lavoro o agli altri colleghi, pur sapendo di dire una falsità, non commette calunnia. Il reato di calunnia infatti scatta quando, in malafede, una persona accusa un’altra, davanti a una «pubblica autorità», di un fatto da questa non commesso. Quindi due sono gli aspetti caratterizzanti la calunnia:

  • l’accusa deve essere fatta davanti a una pubblica autorità come un giudice, la polizia o i carabinieri. Il datore di lavoro o i colleghi non sono una pubblica autorità, per cui non può mai verificarsi la calunnia;
  • il colpevole deve essere consapevole dell’innocenza della vittima. Chi riferisce fatti che ritiene veri (anche se non lo sono) solo perché si sbaglia (magari interpreta male le norme o non conosce bene i fatti o semplicemente non ha le prove di ciò che dice), ma non agisce in malafede, non commette calunnia.

Da quanto abbiamo appena detto, le accuse sul luogo di lavoro possono, tutt’al più, configurare la diffamazione, ma non la calunnia.

La differenza non è solo terminologica. Per la calunnia ci sono da 2 a 6 anni di carcere; per la diffamazione si va invece da 1 a 2 anni.

Se vuoi ulteriori chiarimenti sulla calunnia e sulle false accuse leggi la guida Accusa ingiusta: cosa fare e come difendersi.

Detto ciò, non resta che difendersi dalla diffamazione. La miglior difesa è l’attacco dicevano gli antichi. Pertanto è ben possibile sporgere una querela. Ma devi procurarti almeno un testimone. Seppur è vero, infatti, che nel processo penale la vittima è testimone di se stesso e può quindi, con le proprie dichiarazioni, fornire da sola la prova dell’altrui colpevolezza, in questo caso però tali dichiarazioni non attengono a un fatto visto direttamente, ma conosciuto per interposta persona, grazie cioè alle confidenze di un collega. Ora, se quest’ultimo non vuol testimoniare in tuo favore e non ti interessa fargli fare la parte della spia, potresti registrare a sua insaputa la conversazione (purché non sul luogo di lavoro, ma altrove) e utilizzare le sue confessioni come prova a tuo favore per incriminare il maldicente.

Se le accuse arrivano al datore di lavoro, quest’ultimo non può accusarti o avviare un procedimento disciplinare se non ha raccolto sufficienti prove a tuo favore. Diversamente la sanzione disciplinare sarebbe illegittima e, in questo caso, tu potresti chiedere il risarcimento del danno al collega che ha parlato male di te