Buoni pasto elettronici: l’azienda è tenuta a darli?
FONTE:LEGGE PER TUTTI
Quando, dove e come si possono spendere i ticket? E quali agevolazioni fiscali garantisce la riforma sui buoni pasto? Quanti ne posso usare per volta?
I buoni pasto elettronici hanno sostituito i ticket restaurant cartacei ed hanno portato qualche beneficio ai lavoratori, in quanto sono utilizzabili non solo per pagare il pranzo durante la pausa di lavoro ma anche per fare la spesa al supermercato /a certe condizioni) o per ricaricare il cellulare. Ci sono, inoltre, delle agevolazioni fiscali che lo fanno ancora più convenienti. Ma l’azienda è tenuta a darli ai propri dipendenti? Un lavoratore che fa il pendolare e che, quindi, è costretto a mangiare fuori ogni giorno perché lontano da casa può pretendere dal datore di lavoro i buoni pasto elettronici?
E c’è un’altra domanda alla quale dare risposta: i buoni pasto sono cumulabili? Immaginate, infatti, di fare la spesa grossa al supermercato e di voler pagare con i ticket, cartacei o elettronici che siano: fino a quanti buoni si possono utilizzare ogni volta?
Molti, soprattutto, in seguito alla riforma sui buoni pasto che operativa da settembre 2017 [1] si sono posti queste domande.
Vediamo, allora, come funzionano i buoni pasto elettronici, se l’azienda è tenuta a darli e se sono cumulabili per una spesa elevata.
Indice
1 Buoni pasto elettronici: come funzionano? 2 Buoni pasto elettronici: ci sono delle agevolazioni fiscali? 3 Buoni pasto elettronici: posso ricaricare il cellulare? 4 Cosa prevede la riforma dei buoni pasto? 5 I buoni pasto elettronici sono cumulabili? 6 L’azienda è tenuta a dare i buoni pasto elettronici?
Buoni pasto elettronici: come funzionano?
I buoni pasto elettronici altro non sono che un tesserino con banda magnetica sulla quale l’azienda accredita al dipendente l’importo spettante dei ticket. Una card da usare come un bancomat o una carta di credito. In sostanza, anziché strappare ogni giorno un ticket di carta dal blocchetto consegnato mensilmente dall’azienda, si presenta alla cassa il tesserino elettronico munito di microchip. Una volta introdotto nel Pos, l’importo viene scalato dal credito accumulato.
Il tutto grazie ad un preventivo accordo stipulato tra l’azienda e la società che eroga questo tipo di servizio e che prevede l’importo di ciascun buono pasto (ecco perché l’aragosta non è prevista, a meno di eccezionali benefit culinari). La società che eroga il servizio provvede, a questo punto, all’emissione della card. Il dipendente viene anche informato dell’elenco dei negozi convenzionati al servizio e può cominciare a utilizzare l’importo disponibile. Alla cassa del self service o a quella
del supermercato. Il Pos si collega al server dell’azienda e scala l’ammontare della spesa dal saldo accumulato dal dipendente.
Attenzione, però: l’impiego del buono pasto è legittimo solo per sostituire la mensa quotidiana durante le ore lavorative. In teoria, quindi, non può essere usato né in giornate non lavorative (la spesa del sabato), né per l’acquisto di prodotti non commestibili (spazzolini da denti, detersivi, carta da cucina, ecc). Mentre, nella pratica, uno può andare, ad esempio, durante la pausa pranzo del mercoledì al supermercato e fare la spesa di generi alimentari con i buoni pasto elettronici fino al massimo consentito. Altro discorso è che se lo mangi tutto. Quello che avanza lo porta a casa, ed ecco che una parte della spesa familiare è stata pagata con i buoni.
Buoni pasto elettronici: ci sono delle agevolazioni fiscali?
I buoni pasto elettronici garantiscono delle agevolazioni fiscali [2], sia per il dipendente sia per l’azienda. Quest’ultima beneficia dei vantaggi sulla mancata emissione e stampa dei ticket cartacei (costo inutile al giorno d’oggi). Inoltre, i dati e gli importi viaggiano sul Pos ed i costi sono detraibili con IVA al 4%, oltre che totalmente deducibili.
Per il dipendente, invece, deducibilità del buono pasto elettronico è passata da 5,29 euro a 7 euro al giorno. Quindi, i ticket non concorrono a fare reddito di lavoro fino a quella cifra. Se poi uno vuole l’aragosta…
È concessa anche l’esenzione fiscale e previdenziale dei buoni pasto elettronici e la detraibilità Iva in questi termini:
per le aziende, IVA al 4%: l’imposta sul valore aggiunto è integralmente detraibile dal datore di lavoro per i buoni pasto elettronici ma non per i ticket restaurant cartacei. per i liberi professionisti: la detrazione IVA sui buoni pasto elettronici è pari al 10%, per cui è possibile scaricare dalla dichiarazione dei redditi il 75% delle spese e integralmente l’Iva al 10%, fino al massimo importo pari al 2% del fatturato, come succede con le spese di albergo, trasferte, ecc. per le persone giuridiche Ires: i buoni pasto sono deducibili al 100% siano essi cartacei o elettronici. Sono ritenuti, infatti, un servizio sostitutivo di mensa.
Buoni pasto elettronici: posso ricaricare il cellulare?
Ci sono delle società che emettono dei buoni pasti elettronici e che sono convenzionate con negozi, supermercati o, addirittura, con operatori telefonici. È il caso di Postepay Lunch, utilizzabile nei locali di ristorazione o nei negozi convenzionati (non necessariamente alimentari) e con la quale è possibile ricaricare il cellulare. A patto che nemmeno lo smartphone abbia voglia di aragosta.
Cosa prevede la riforma dei buoni pasto?
Come abbiamo anticipato, da settembre 2017 è operativa la riforma dei buoni pasto, sia cartacei sia elettronici.
La nuova normativa prevede l’estensione degli esercizi commerciali in cui potranno essere spesi: si tratta di agriturismi, mercatini o aziende agricole.
Viene inoltre stabilito che i buoni pasto sono utilizzabili esclusivamente per l’intero valore facciale. Questo significa che chi non spende tutto il buono non può pretendere il resto in denaro e, nello stesso tempo, non potrà usare il residuo per altre occasioni.
Inoltre scompare l’obbligo di indicazione del nominativo del titolare, ma rimane l’obbligo della firma al momento della consegna.
I buoni pasto elettronici sono cumulabili?
La riforma dei buoni pasto riconosce la loro cumulabilità, ma fino ad un certo punto: un massimo di 8 per volta.
«Cumulare i buoni pasto» significa utilizzarne più di uno per la stessa spesa. Se, ad esempio, il conto finale è di 30 euro e il lavoratore è in possesso di 4 buoni pasto da 7 euro l’uno, può utilizzarli contemporaneamente, pagando i residui 2 euro in denaro. In questo esempio, il pagamento con buoni pasto può avvenire fino a massimo 56 euro (7×8=56).
Tuttavia, cumulare fino a 8 buoni pasto per volta sembra andare contro la finalità di autorizzare il loro utilizzo solo per generi alimentari sostitutivi della mensa aziendale. Bisognerebbe infatti ammettere che, in presenza ad esempio di 8 buoni pasto da 7 euro l’uno, un lavoratore dipendente consumi un pasto di 56 euro, il che è poco verosimile nell’arco della normale giornata lavorativa (a meno che non ordini la famosa aragosta).
L’azienda è tenuta a dare i buoni pasto elettronici?
Per rispondere a questa domanda, bisogna premettere che, in materia di buoni pasto, la regolamentazione dettagliata si trova all’interno dei contratti collettivi e degli accordi territoriali ed aziendali (in particolare, il contratto di assunzione). Se nulla è previsto, purtroppo, sarà nella discrezionalità del datore di lavoro erogare detti buoni. Se l’azienda decide di erogare i buoni pasto elettronici, allora dovrà seguire le nuove regole della citata riforma, che però nulla prevede circa l’obbligatorietà per le aziende in ordine alla prestazione di detto servizio.
I buoni pasto, quindi, spettano solo se previsti in un apposito accordo, collettivo o individuale: in mancanza di un accordo che li preveda, l’azienda non è tenuta a darli. Il buono pasto, difatti, non rappresenta una parte della retribuzione, ma un beneficio assimilato alle prestazioni di assistenza, cioè alle cosiddette prestazioni di welfare (prova ne è il fatto che, sino ad un determinato limite, è esente dalle imposte).
note
[1] DM n. 122/2017.
[2] Art. 51, co. 2, lettera c) del Tuir.
Buoni pasto elettronici: l’azienda è tenuta a darli?
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