Licenziamento per chi timbra il badge per il collega
Fonte:legge per tutti
Commette frode in danno del datore di lavoro il lavoratore che copre i colleghi assenti timbrando il loro cartellino: scatta il licenziamento in tronco.
Rischia un licenziamento in tronco (ossia per giusta causa) il dipendente che timbra il cartellino anche per conto del collega assente. Linea dura della Cassazione non solo contro gli assenteisti che affidano il proprio badge ai compagni di lavoro, ma anche per questi ultimi, che coprono un comportamento illecito e, anzi, ne sono complici. È questo il succo di una sentenza di poche ore fa [Cass. sent. n. 5777/2016 del 23.03.2016.].
L’Italia è scossa dai recenti scandali, scoperti dalla Guardia di Finanza dentro le amministrazioni, e di cui la cronaca ha ormai riempito rotocalchi e palinsesti: non sono sporadici i casi di pubblici dipendenti formalmente presenti sul luogo di lavoro, beccati invece a fare la spesa, la colazione o al mercato ortofruttifero. L’evidente illegittimità di tale condotta, tuttavia, vale per qualsiasi settore, anche quello privato. Così il lavoratore di una società o di una cooperativa agricola (come nel caso di specie) non si salva dalla contestazione di frode in danno del datore di lavoro se, in combutta con il collega assente, gli timbra il cartellino. Per entrambi scatta quindi il licenziamento disciplinare senza neanche il preavviso.
Il comportamento contestato è tra i più gravi che possano evidenziarsi sul luogo di lavoro: una frode vera e propria, atta ad incidere sul sistema dei controlli necessari al personale, oltre che a compromettere il rapporto di fiducia con il datore. Un danno anche all’economia nazionale perché da un lato impedisce all’azienda di produrre (venendo meno un lavoratore che, invece, non avrebbe diritto ad assentarsi) e, dall’altro, esclude la possibilità, per tanti disoccupati, di prendere il posto del nullafacente. Dunque, il sodalizio tra i due compagni di lavoro, in base al quale uno timbra il badge dell’altro, comporta per entrambi la stessa sanzione: licenziamento in tronco per giusta causa.
Non serve a ridurre la gravità della contestazione l’assenza di precedenti disciplinari in capo al “palo”. Neppure il successivo ravvedimento del dipendente, che confessa il misfatto, può salvarlo dal licenziamento. Né infine, può rilevare come difesa il fatto che il contratto collettivo non contempli il comportamento in questione tra le ipotesi passibili della massima sanzione. È la gravità della condotta in sé che rende impossibile qualsiasi prosecuzione del lavoro, facendo venire meno la fiducia dell’azienda nei confronti del dipendente, anche per il successivo svolgimento del rapporto. Infatti – si legge in sentenza – in tema di licenziamento, la nozione di
“giusta causa di licenziamento” è già prevista dalla legge; pertanto, il giudice non è vincolato da quanto indicato nei contratti collettivi che non possono certo considerarsi esaustivi nell’elencazione dei comportamenti vietati.